Schizofrenia, arriva una terapia unica da prendere 4 volte l’anno

Gli esperti riuniti al Congresso dell’Associazione europea di psichiatria: “Più vantaggi per i pazienti che tendono ad abbandonare le cure”.

INIZIANO la terapia, la rispettano per un tempo minimo. Poi smettono di curarsi e abbandonano il protocollo. Col rischio di una ricaduta e di un regresso rispetto ai risultati faticosamente raggiunti. Perché? Stigma, rifiuto della malattia, rimozione del proprio vissuto. Oppure difficoltà organizzative e rapporti familiari non facili. Ecco alcune ragioni, spesso difficili da definire, che impediscono ai pazienti affetti da schizofrenia di curarsi come si deve. Cioè con continuità e al netto di pause non previste. Ma oggi la farmacologia  offre a questa fascia di soggetti una chance di maggiore libertà grazie alla prima terapia distribuita in sole quattro somministrazioni all’anno.

La molecola. La molecola che ne è alla base si chiama “paliperidone palmitato” e permetterà  una vita meno stressante, appartenendo alla classe dei farmaci “Long acting injectables”(Lai). Dei risvolti positivi di un protocollo più agile, si è discusso ieri al 25esimo congresso europeo di Psichiatria che si conclude oggi pomeriggio a Firenze. Ed è proprio la maggiore autonomia di gestione l’attrattiva maggiore per quella che l’ordinario di Psichiatria di Siena Andrea Fagiolini, definisce una  «patologia sempre più giovane, con un’età media alla diagnosi in diminuzione».

I dati. Secondo l’Oms, gli schizofrenici – ma gli specialisti mirano anche a mutare una terminologia che si identifica con una patologia emarginante – in Europa sono oltre tre milioni e 700mila, e di queste, 427mila  solo in Italia, al quarto posto  tra i paesi europei dopo Germania, Francia e Regno Unito. La schizofrenia si manifesta con sintomi che spaziano dalle allucinazioni, ai deliri, a discorsi e comportamenti disorganizzati, all’apatia, alla mancanza di motivazione e fino ai deficit cognitivi.

La nuova terapia. La nuova terapia trimestrale, messa a punto nei laboratori di ricerca della Janssen, dovrebbe riuscire a migliorare la qualità di vita dei pazienti schizofrenici e psicotici che finora hanno dovuto fare i conti con orari prestabiliti e pillole da non saltare.

I Lai (a lunga durata d’azione) permettono intervalli di somministrazione più lunghi rispetto ai farmaci orali. Adesso, con la nuova terapia trimestrale il periodo libero dall’obbligo di assumere il farmaco antipsicotico triplica rispetto ai Long acting già in uso (la prima generazione risale a oltre 40 anni fa). Gli specialisti di tutta Europa riuniti nel capoluogo toscano hanno deciso di confrontarsi sul tema del terzo millennio: “Insieme per la salute mentale”.

Droga e violenza. Lo hanno fatto per il crescente numero di giovani che approdano dallo psichiatra con una patologia diagnosticata sempre più precocemente. Se da una parte, sottolineano gli esperti, questa precocità dipende da una maggiore apertura delle famiglie e della società al concetto di malattia mentale, dall’altra la responsabilità andrebbe attribuita a vari fattori: dal consumo di sostanze stupefacenti al ritmo di vita frenetico, al bombardamento mediatico, all’incitamento alla violenza. «E’ preferibile trattare la malattia prima possibile, evitando la degenerazione e il peggioramento», avverte Carlo Altamura, direttore della clinica Psichiatrica dell’università di Milano e presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, «Uno studio retrospettivo con 21492 pazienti affetti da schizofrenia ha mostrato come la terapia di lungo periodo con i farmaci antipsicotici (non con benzodiazepine) sia associata a un minor tasso di mortalità generale e suicidio, rispetto a nessun trattamento».

L’inserimento sociale. Secondo Silvana Galderisi, ordinario di Psichiatria all’Ateneo Vanvitelli e presidente della European Psychiatric Association (Epa), l’inserimento sociale dei pazienti è un apriorità.”Nell’ultimo decennio il percorso migliorativo di cura ha coinvolto medici, pazienti e familiari, e ci ha condotto gradualmente alla situazione attuale in cui si cerca di perseguire il reinserimento della persona nel suo ambiente socio-familiare – racconta Galderisi – . L’integrazione passa attraverso molteplici fattori connessi tra loro, ma tutti essenziali per restituire un significato alla vita del paziente. Naturalmente la stabilità delle condizioni cliniche è indispensabile, e disporre di trattamenti farmacologici che migliorano l’aderenza alla cura rappresenta un importante tassello per il recupero. I farmaci long-acting sono certamente un presidio importante in tal senso e uno schema di terapia che prevede quattro somministrazioni in un anno può essere gradito a molti e semplificare la cura”.

Il farmaco. Il paliperidone palmitato, approvato dall’Ema a maggio scorso per il trattamento della schizofrenia nei pazienti adulti in condizioni cliniche stabili, sarà a breve disponibile anche in Italia. Claudio Mencacci, direttore del dipartimento Neuroscienze e Salute mentale del Fatebenefratelli-Sacco di Milano e presidente della Società italiana di Psichiatria (Sip), rivela che proprio nell’ottica del reinserimento “un anno fa è stato lanciato in Italia “Triathlon” promosso dalle quattro principali società scientifiche: si tratta di un progetto innovativo studiato per coinvolgere quei pazienti, specialmente proprio i giovani, che hanno bisogno di una ‘rete’ che li accompagni in un percorso di lungo periodo non solo clinico, ma anche sociale e cognitivo. Una rete che coinvolga, recuperi e riabiliti”.